LA GRAZIA OBLIQUA 
“Canzoni Per Tramonti E Albe – Al Crepuscolo Dell’Occidente” 
(X-Records, 2019)

Canzoni Per Tramonti E Albe – Al Crepuscolo Dell’Occidente precede l’EP di agosto che contiene le quattro incarnazioni di Velvet 1994-2000
 quella di Fides video mix, Aequitas club mix, Marcia muta del serpente dub mix, Croci Nere Della Scena Alternativa instro mix. Ascoltare La Grazia Obliqua è come saltare da una citazione all’altra dei più disparati artisti, un pendolo che segue percorsi e ricorsi tra le atmosfere di Klaus Schulze e dei Joy Division, la tradizione cantautorale di Lindo Ferretti e il synth-pop dei New Order, dritti fino ai CCCP di A Ja Ljublju Sssr, di cui fanno anche una cover; molte le influenze, tutte di alta cifra stilistica. 
Parlare di La Grazia Obliqua e classificarli per genere è complicato, riducendo ai minimi termini e seguendo i loro tag abbiamo un incrocio tra synth-pop, darkwave ed elettronica. 
Il loro album Canzoni Per Tramonti E Albe – Al Crepuscolo Dell’Occidente amplia a dismisura l’orizzonte.

La Grazia Obliqua è radicata nel territorio romano, e più precisamente al prenestino, nasce in quel Ghostrack Studio nel lontano 2012 come collettivo musicale ed artistico, libertà espressiva ed una dose, indubbia, di eclettismo.
 Se le sonorità sono tra le più varie e imprevedibili, spesso lo sono anche le loro esibizioni dal vivo; sperimentato personalmente quanto le loro performance differiscano l’una dall’altra, quasi a ringraziare gli astanti, regalando momenti unici. Come uniche sono alcune introduzioni ai loro brani come ad esempio Lilith, che arriva preceduta da un testo in prosa. 
Se da una parte la band ha una sua identità ben precisa nel panorama musicale odierno, può rivelarsi utile parlare dei suoi componenti, come gli ingredienti di questa ricetta tutta nostrana, elementi diversi ma prima di tutto amici ed è questa la spezia più preziosa de La Grazia Obliqua!
 La lineup attuale è composta da: Alessandra Bersiani, detta Trinity è la one (wo)man band, flauto, tastiere, batteria, voce e chissà quanto altro, un passato da ginnasta, un amore per il Giappone e la 
Alessandro Bellotta: frontman 52 anni, psicanalista, una voce che strega anche i più distratti, il piglio del poeta guerriero, avezzanese, molto legato a Pasolini dichiara “se rinasco faccio il cantante”. 
Valerio Michetti: batterista, classe 77, al grido di “io non suono, io assalto i tamburi” divora The Who e Bauhaus (ma non solo), occasionalmente tastierista.
 Gianluca Pinelli: chitarre, sul palco si vede che si diverte: “La nostra esplorazione la affrontiamo con il piglio del conquistatore” lo sguardo vispo ed un sound che non lascia dubbi. 
Massimo Bandiera: basso elettrico, sound engineer di Cagliari, un po’ Joe Strummer, total black come vocazione, afferma: “Questo album lo abbiamo pensato per scoprirlo, noi per primi. Dentro c’è dall’elettronica alla ballad fino alla darkwave, cose che non si rinchiudono in un’unica gabbia”.

Parlare di questo album è un volo d’uccello su lande sconfinate, densissime di particolari spesso ardui da cogliere al primo ascolto, come se nel nostro volo cercassimo d’individuare un ciottolo dalla forma particolare o venato in maniera bizzarra. Dentro ogni singolo brano si nascondono tante piccole parti di un puzzle; a volte sono lì pronte ad essere colte, oppure meno evidenti da carpire tra un brano ed un altro, a volte sono un deja vu, tessere che compongono un ben più ampio mosaico. Kaos/Sempre: testo minimale un solo concetto ben delineato, ma che intende aprire un crepa nel muro dei ricordi di ognuno, un viaggio in quei mondi possibili fatti di scelte mai prese! È quella dimensione alla “sliding doors” da una musica complice che ci accompagna senza distoglierci dai nostri multiversi … La voce è quella di Massimo Bandiera, un brano a tinte fosche che parla di insuccessi e non celebra nessuna vittoria … Genealogy: cambio di passo, il cantato è in inglese, poi a metà brano cambio nell’inciso cantato in italiano, chiusura in inglese … Anche qui allegorie complesse e probabilmente non adatte a tutti i palati, ma tanto è La Grazia Obliqua: “il buio si spacca nel nero giardino sei ghiaccio sei gesto violento”.
 Oasis: brano che si avvale della voce di Rosetta Garrì degli Spiritual Bat, atmosfere in linea con il titolo, tra sonorità electro e spruzzate di noise, disallineato con quella che è una delle pietre angolari della storia de La Grazia Obliqua e non solo, stiamo parlando di Velvet (1994-2000): 
caratteristica di Velvet il deja vu, quel ritornello di A Day dei Clan of Xymox, che è inserito nel pezzo non altro che un omaggio. 
E infatti non un plagio ma vuole spostare il focus su un periodo storico in cui esisteva un posto che era il Velvet a Roma, il cui proprietario era Massimo Bandiera, autore anche del testo del brano. Punto di riferimento per molti in quel periodo, non solo un ritrovo ma anche una comunità di persone, un centro di aggregazione vero e proprio … 
Lilith: una ballad struggente, un brano arricchito dal flauto di Trinity, con atmosfere che addolciscono l’aria, è una delle tappe del nostro viaggio, Lilith è un porto calmo ma con nubi scure all’orizzonte.
 Friedrich: incedere austero una batteria come un tamburo da guerra, armonie synth-pop, in un dipinto surreale fatto di allegorie immagini come flash, metafore da carpire e capire nell’insieme di un caos organizzatissimo. “Cadono vetri taglia la tela, resta il dolore … ma il buio lo cela, rossa d’amore come la luna cerca lontano perduta fortuna come marea di luna nera crolla il tuo centro”. I riferimenti sono alti, la poesia di Rimbaud è il leitmotiv, ed è Hugo Friedrich, che parlando di Rimbaud asseriva:
 “lo sguardo poetico penetra attraverso una realtà coscientemente frantumata fin nel vuoto del mistero”. 
Heil The Kaos: con il contributo di Gino Fedeli alla tromba La Grazia Obliqua c’informa che “nella vecchia europa regna il caos” e ad oggi la cronaca sembra confermarlo, atmosfere che ricordano i Death In June un testo inglese e italiano, dualismo già visto in Genealogy. Verso Aden: liriche di rara malinconia a cura di Lory Fayer, un arpeggio di piano struggente è l’incipit che descrive come “salperò da una nave dalle vele nere, senza curarmi di cosa potrà accadere”. E
 nel loro DNA la loro cifra espressiva, nel solco di Rimbaud è lo stile de La Grazia Obliqua: il verso libero, la poesia. Quello che avevamo intuito prima, ci viene confermato, siamo ben rodati e possiamo capire meglio quanto ci viene suggerito in questo carosello di voli pindarici e allegorie.
Cantare Bellezza: si avvale nuovamente di Gino Fedeli alla tromba, brano preferito da Alessandro Bellotta ci esorta a “cantare Bellezza per tutta una vita”. 
Conclude il viaggio Pasolini: in un’atmosfera rarefatta, che fotografa l’attimo esatto della morte di Pier Paolo Pasolini, quasi liberatoria, tra “risate di bambini cannibali”. Immagini forti quasi blasfeme.
 Chiusura degna di un album che non lascia prigionieri, prende tutto o lascia tutto, il treno de La Grazia Obliqua è la transiberiana che scavalca sette fusi orari, è un mondo a parte. 
La prosa ma sopratutto l’esperienza straniante e spesso allegorica del testo, è la loro forza e la loro croce, un rumore bianco che si fa urlo come nelle parole di Cantare Bellezza “… non è più tempo di amare il silenzio
alzare la guardia nel buio che avanza …”


Paolo Calò