EN DECLIN 
“A Possible Human Drift Scenario” 
(My Kingdom Music, 2019)

Formazione romana nata nel 1996 con all’attivo tre album, prodotti in quasi venti anni di carriera, che ha visto la band, tra varie vicissitudini e collaborazioni, assestarsi ad un trio. 
Pubblicano il loro primo lavoro Amaranth nel 2000, segue Trama nel 2005 per arrivare poi a Domino/Sequence nel 2009, segue uno stop di dieci anni, fino alla pubblicazione, nel settembre 2019, di questo A Possible Human Drift Scenario. 
Album pubblicato dalla My Kingdom Music, realizzato negli studi della OZ Record mixed & mastered da Claudio Spagnoli, il trio è composto da Andrea Aschi alla chitarra, Marco Campioni alle percussioni e laptop e Maurizio Tavani alla voce.

La band da alla luce dieci tracce di sicuro interesse nel panorama alternativo italiano ed internazionale, consolidando uno stile proprio. Questo aspetto della produzione così dilazionata nel tempo la interpreto positivamente, qualità più che quantità, un album che “emerge” dopo tanto tempo non è frutto della fretta o dell’istinto e permette di raffinare meglio idee e ispirazioni.
 Le sonorità che troviamo sono qualitativamente valide, a volte richiamano band il cui sound sembra elettivamente legato ad un doppio filo, se provate ad inserire tra Caronte e Undressed, The Remedy dei Puscifer avrete chiara l’intera immagine.
 Gli En Declin hanno vari riferimenti, dagli Anathema sino ai Katatonia, passando per Klimt 1918 e Nonsound e la musica che ci propongono può essere identificata come “emotional music”, ovvero un tipo di arte melanconica nella rappresentazione plastica della difficoltà oggettiva dell’esistere. 

Nelle parole di Marco Campioni, il percussionista della band, la sintesi dell”album:

“Il disco non è altro che lo scontro tra due realtà a noi molto vicine: l’una, rappresentata dalle deviazioni che possono scaturire da uno stato d’animo, vale a dire, da una serie di momenti della vita interiore pertinenti al mondo degli affetti e delle emozioni che spingono l’uomo – senza via d’uscita – verso un cambiamento radicale, cui si può arrivare per via della depressione, della speranza, dell’amore, della disperazione e della viltà. L’altra, rappresentata da tutte quelle deviazioni che possono scaturire dalla conduzione di una vita preconcetta e ideologicamente errata, che spinge l’uomo medio a non accettare il cambiamento, quindi a non condividere e di conseguenza a non riconoscere diritti che, invece, dovrebbero essere di tutti. Ebbene, lo scontro tra queste due realtà genera una situazione di stallo che conduce inevitabilmente l’uomo alla deriva. Pertanto è solo superando questo confine ideologico che l’umanità potrà giungere ad una Terra fondata sul pieno riconoscimento dei diritti individuali, dunque, alla piena integrazione fra i popoli. All’opposto, l’unica soluzione sarebbe l’errare dell’uomo in eterno.”(cit.)

Un album che veleggia alto e che non cede alle sirene del prodotto da impatto, non avendo quelle sonorità hard rock caratterizzate da rantoli di distorsioni chitarristiche, è fluido ed avvolgente, ma sopratutto struggente, un pò come guardare le foto d’infanzia in quelle serate solitarie e piovose che a tutti noi sono capitate almeno una volta nella vita. 
Ancora nelle parole di Marco Campioni è da ricercare il fulcro del messaggio, quando questi associa ogni brano alle due realtà citate sopra, per cui alla rappresentazione delle deviazioni dello stato d’animo stanno: depressione It’s Time To Give It The Boot, speranza The Becoming, amore Gea, disperazione Undressed, viltà Mr Lamb. 
Mentre nella seconda ipotesi, ovvero la vita basata sul preconcetto dell'”uomo medio”, troviamo: 
Das Eismeer che si lega all’ansia e allo sgomento, The Average Man che addita il pregiudizio, Caronte e Social Limbo, accentrati sulla critica del preconcetto occidentale contro i migranti che non solo vengono accolti, ma privati di quei diritti inviolabili della persona.
 In sintesi questa è la tela su cui si alternano i vani brani del disco, come pennellate che vanno a dipingere un quadro a tinte fosche, un atto di denuncia che vuole far vibrare quelle corde in cui l’empatia per il prossimo dovrebbe far risuonare coscienza ed umanità, in quella consapevolezza che siamo un tutt’uno. 

Per seguire tutto il pensiero che è alla base di questo album ci aiutiamo col booklet interno dei testi, in alcuni momenti fondamentale, e una volta acquisita la chiave di lettura, l’album scorre piacevolmente, mai monocorde.

It’s Time To Give It The Boot, il primo brano dell’album, ha un buon incedere, “I wanted to be right with myself but maybe it was not a good idea” (volevo essere me stesso ma forse non è stata una buona idea), in The Becoming dichiara “I seek refuge in god” (cerco rifugio in Dio), in Gea, “everything died long time ago” (tutto è morto molto tempo fa) in Caronte “la terra rossa come carne macchiava i miei vestiti e poi le ombre, la notte e il mare su di me”, sono solo alcuni esempi del livello emotivo con il quale l’album ci parla.
 Capitolo a parte per Another Day In Paradise, coraggiosa cover del brano di Phil Collins, che malgrado non sia una brutta lascia un pò tiepidi. 
Complessivamente un lavoro da ascoltare con attenzione, denso di immagini e metafore, che vive di un suo tema narrativo ben preciso, che va compreso e che parla molto di noi e di questi tempi drammatici, in reale declino.

Paolo Calò