I BREAK HORSES
"Warnings"
(Bella Union, 2020)

Il fascino glaciale, diafano, subliminale degli svedesi I Break Horses sembra parlare in codice a quelle anime danneggiate, sepolcrali e patologicamente romantiche cresciute a shoegaze, darkwave ed elettronica praticando il “social distancing” per una vita intera, anni luce prima del coronavirus. È una significativa coincidenza dunque che la terza prova del duo indie elettronico composto dalla cantautrice e polistrumentista Maria Lindén e da Fredrik Balck, dopo il folgorante esordio Hearts del 2011 e il solido Chiaroscuro del 2014, sia uscito per la leggendaria etichetta Bella Union proprio in coincidenza con un lockdown che ha costretto l’uomo della globalizzazione 3.0 a un inquieto letargo in cui affrontare i propri demoni interiori e guardare in TV le sue peggiori paure diventare realtà.

Sembra voler rifuggire il mondo esterno, e al contempo volersi spingere oltre i confini del noto, questa nuova avvolgente produzione dal titolo denso di presagi e così adatto a questi tempi, per virare verso il sogno e l’inconscio, prendendo l’ascoltatore per mano in un viaggio dentro se stesso. E lo fa anzitutto attraverso melodie cristalline dai riverberi fra il sacro e il folk (il primo singolo Death Engine, classico istantaneo dalle geometrie sonore alla Bach), che respirano, prendendosi il loro tempo (i 9 minuti di walzer della prima traccia Turn scorrono impercettibilmente), per evolvere in giri sorprendenti e modulazioni imprevedibili, ma sempre coerenti e di grande impatto emotivo (The Prophet su tutte). E lo fa senza paura di rischiare e di sperimentare con texture elettroniche sporcate da echi e interferenze, chitarre intrise di pedale stile My Bloody Valentine, distorsioni vocali al ralenty e bpm dilatati al parossismo, creando un’atmosfera dalle forti suggestioni oniriche, e disegnando un paesaggio emotivo denso, chiaroscurale, omogeneo e fluido dove abbandonare ogni logica e aprire i sensi del cuore alle voci rivelatrici di un mondo altro.

Livio Piantelli