UN RICORDO MUSICALE DI KIEV

Era il novembre 2014 e il rilevatore di temperatura segnava -2 a Kiev. Una mattina, vicino la Cattedrale di Santa Sofia, nella parte esterna della sua navata laterale, stava seduto un uomo cosacco, che ricoperto di giacca pesante, un colbacco in testa e dei guanti tagliati a metà sulle dita che premevano corde e tasti, suonava la bandura, un antico strumento orientale simile alla cetra. L’uomo intonava canzoni della tradizione ucraina che cantava con grazia e lentezza. La sua musica era come un inno, una preghiera al cielo che si ripeteva nei secoli della storia di un popolo martoriato dai conflitti. La struttura di ogni canzone era una costante ripetizione del tema, come in un blues, un ritornare sempre agli arpeggi sorti dall’accordo fondamentale, che sembrava richiamare, in una lingua incomprensibile per chi non la conosce, un messaggio iniziale. La bandura è uno strumento tradizionale che tuttavia, proprio per il suo elevato numero di corde e le possibilità armoniche cui si presta, potrebbe somigliare a uno degli strumenti preparati o modificati delle avanguardie dei nostri giorni. Nei CD che l’uomo teneva nella custodia dello strumento, c’era scritto il suo nome in caratteri cirillici, non sempre riproducibili nella tastiera di un computer occidentale.
Chissà se quell’uomo ancora vive e cosa farà per proteggersi dai bombardamenti e dagli spari del nemico russo di questi giorni. Chissà se quell’uomo era già nato nel 1939 quando in maniera simile un altro folle di analoghe fattezze invase la vicina terra di Polonia. Non ci è dato saperlo, ma continueremo ad ascoltare i messaggi indecifrabili di quella musica che salirà al cielo per un’Europa di pace, testimoniando la bellezza della tradizione culturale e musicale di una Ucraina fiera, piena di dignità e orgogliosa della propria indipendenza.

Sergio Spampinato

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