TETUZI AKIYAMA
"Don't Forget To Boogie!"
(Idea, 2003)

Tetuzi AkiyamaNella continua e costante ricerca di pregevoli albums da recensire che hanno subito soprattutto in Italia una scarsa o addirittura nessuna copertura mediatica sia su riviste cartacee specializzate sia sul web, voglio estrapolare quasi a caso dalla mia multiforme e variegata raccolta di “oscurità” discografiche, un album uscito solo su vinile nel 2003, su etichetta Idea Records: Don’t Forget To Boogie di Tetuzi Akiyama. Il nipponico chitarrista “impro” in questione appartiene insieme con Taku Sugimoto, Yoshihide Otomo, Toshimaru Nakamura ed altri a quel movimento musicale nato verso la fine degli anni ’90 a Tokyo, denominato “Onkyo” la cui caratteristica è quella di creare musica contenente elementi sia di primitivismo che di sperimentazione, con un’attitudine minimale che pone in particolare rilievo il silenzio e lo yin (vuoto) in totale contrapposizione alla scena molto più noise, claustrofobica e yang (pieno) dei vari compatrioti Merzbow, Boredoms e Keiji Haino.

Don’t Forget To Boogie è un concept album per sola chitarra elettrica dal riffaggio crudo e sporco che omaggia fin dal titolo il boogie rock, sottogenere dell’hard rock/blues rock di bands tipo Canned Heat o ZZ Top, ma anche precursori come John Lee Hooker, il tutto riletto però dal giapponese con un approccio minimalista non molto dissimile da quello adottato, anche se in un contesto diverso, da Tony Conrad con il suo violino. Tetuzi Akiyama nei momenti di picco, “grattugiando” insistentemente le corde del suo strumento, produce una serie di reiterati e distorti accordi ricchi di armonici e inevitabili suoni “parassiti” che conducono l’ascoltatore quasi in uno stato di trance. È come se il suo hypnotic swamp blues ci trasportasse a bordo di una fantasmagorica locomotiva sbuffante, in un viaggio mentale alla scoperta delle particelle soniche primordiali che hanno generato il rock and roll. Per chiudere, qualche parola la merita la parodistica immagine di copertina, la foto infatti mostra il nostro “gangster” delle dodici battute con tanto di cappello, gilet e cravatta, intento a fumare una sigaretta, seduto accanto ad una dozzina di bottiglie di alcolici, diversi teschi, un mitra, un coltello, una chitarra, un mucchio di monete d’oro che fuoriescono dalla custodia, un poster degli Hells Angels e infine, vero colpo di genio, un del tutto fuori contesto bicchiere di puro latte, un chiaro messaggio goliardico e provocatorio verso i fin troppo seriosi e stereotipati “duri” del Rock.

Danilo D’Alessio