LOU REED
"Words & Music, May 1965 - Series: Lou Reed Archive Series - n. 1"
(Light In The Attic Records, 2022)

C’era un ragazzo come noi, suonava la chitarra, amava il folk, il jazz, Bob Dylan e il blues dei padri come Sonny Terry & Brownie Mc Ghee. Questo ragazzo voleva diventare un musicista, decise allora di registrare le sue canzoni su dei nastri a bobina, e a lavoro ultimato, incartare e sigillare per bene il tutto e spedirsi il pacchetto a casa come prova di originalità delle sue composizioni. L’azione eseguita era una protezione da eventuali imitatori: il timbro postale con la data impressa May 11, 1965 forniva un elemento inconfutabile, creando di fatto le condizioni per una sorta di diritto d’autore sulle sue creazioni. Nato nel 1942, figlio di un contabile e di una casalinga ex reginetta ai concorsi di bellezza, il ragazzo nel 1956 venne sottoposto ad una terapia di elettroshock, che secondo i genitori avrebbe dovuto curare la sua bisessualità. Ebbe le sue prime esperienze con la droga a 16 anni, nel 1964 si laureò alla Syracuse University’s College Of Arts And Sciences, dove conobbe lo scrittore e poeta Delmore Schwartz, figura fondamentale che influenzò i suoi scritti futuri, definendo di fatto una nuova “estetica letteraria”, che cambierà per sempre i testi nelle canzoni rock’n’roll. Il ragazzo si chiamava Lewis Allan Reed, detto Lou, lavorava come compositore su commissione, per la piccola etichetta di musica commerciale Picwick Records a New York.

Aveva 23 anni nel maggio 1965 e un amico di cui poteva fidarsi, un certo John Cale, che suonava la viola e studiava musica classica. I due già dal 1964 suonavano insieme nei Primitives, la band che avevano fondato. Il disco che abbiamo tra le mani, presenta proprio questa sessione di registrazione su nastro, fino ad oggi rimasta chiusa e sigillata nella sua busta originale. È proprio la frase “words & music by Lou Reed” ripetuta all’inizio di ogni canzone quale ulteriore prova di appartenenza delle canzoni a diventare 57 anni dopo il titolo del disco in questione. Prodotto dalla terza moglie Laurie Anderson e da Don Fleming, Jason Stern, Hal Willner e Matt Sullivan, l’album è stato completamente rimasterizzato da John Baldwin, già nominato ai GRAMMY®. Words & Music, May 1965 uscito il 21 ottobre 2022 è il primo disco di una serie di pubblicazioni di inediti dell’archivio di Lou Reed, la Lou Reed Estate Series su etichetta Light In The Attic Records. Words & Music May 1965 è uscito in molti formati che accontenteranno tutti i fans: edizione standard CD e musicassetta; edizione standard vinile singolo e 8 track; edizione standard digitale; una edizione deluxe (2 LP + 7″ + CD) oltre ad una edizione digitale sulle maggiori piattaforme di streaming musicale. Inoltre è disponibile anche del merchandising come magliette e altri gadget. Degna di nota la copertina e in generale tutto il packaging della edizione deluxe curato dal pluripremiato artista Masaki Koike. Insomma non c’è che l’imbarazzo della scelta e per orientarsi in un eventuale acquisto occorrerà schiarirsi le idee e farsi due conti in tasca.

Siamo sinceri: scrivere una recensione su questo progetto musicale è un’impresa titanica, perché significa confrontarsi con le origini di un mito della cultura contemporanea e noi non ci proveremo nemmeno. Si avete capito bene, certo, perché non siamo così presuntuosi da poter relegare questo lavoro di Lou Reed nelle poche righe di cui riusciremo a scrivere. I nostri sono appunti sparsi, impressioni, urgenza di comunicare, fretta nel dire quel poco che possiamo, di fronte a un documento così eccezionale. Questa uscita discografica è un evento nella storia dell’industria musicale e noi siamo qui per celebrarlo insieme a voi. Del resto tutta la cultura del post-‘900 è influenzata dalle idee e dalle opere di Lou Reed. Per fare le cose con un po’ di criterio, servirebbe come minimo un saggio introduttivo per inquadrare l’artista nel suo contesto storico-culturale. Noi invece non sappiamo cosa dire, siamo stupiti quanto voi, siamo sbalorditi, emozionati, spaesati di fronte a questo documento di archeologia sonora (come vogliamo chiamarlo), di fronte a questa capsula spazio-temporale che ci catapulta indietro nel passato e ci lascia interdetti di fronte alla bravura di questo ragazzo, di questi ragazzi nel loro appartamento newyorchese: Lou e John. Sicuramente c’era l’urgenza di registrare, catalogare, proteggere la propria opera dagli invidiosi, dagli emulatori, dai fanfaluche di turno.

Per questo non sappiamo come catalogare queste registrazioni, che in origine non erano state pensate per essere pubblicate, così come le possiamo sentire oggi. Non era un disco d’esordio questo, Lou Reed nel 1965 era un giovane cantautore che cercava di esplorare territori musicali della tradizione americana per trovare il suo stile. Era un artista acerbo alle prese con il suo processo di formazione che si nutriva e trovava ispirazione nell’esplorare i bassifondi di una grande metropoli come New York. Attraverso queste registrazioni possiamo immergerci nel processo creativo che lo portò in seguito verso la creazione di una delle band più innovatrici e alternative della storia del rock: i Velvet Underground. Il resto è storia che tutti conoscono.

Con un misto di timore e riverenza andiamo a sentire la prima traccia del disco: è I’m Waiting For The Man, sentita un miliardo di volte, eppure questa versione delle origini a due voci, in un ruvido e sgraziato blues ci lascia interdetti. Ecco che di colpo ci attraversa un’idea: quello che stiamo ascoltando non è un disco di Lou Reed, la rock star arrivata che siede nell’alto dei cieli al fianco degli dei. È un ragazzo sconosciuto di New York che canta, timido e a volte imbarazzato nel presentare le sue canzoni. È il ragazzo meraviglioso, la voce del fanciullo, il soffio di élan vital, il puer aeternus cristallizzato per sempre nelle tracce di questo disco, che mai vedrà compiersi la parabola oscura e luminosa allo stesso tempo, dell’uomo e dell’artista Lou Reed. Perché in questo disco-documento-reperto storico il tempo si è fermato e noi abbiamo la possibilità di sentire la voce del Faraone bambino, rimasta sepolta nella cripta mortuaria della gigantesca piramide eretta dagli uomini in suo onore, in perenne memoria. Adesso tutto diventa più chiaro, possiamo rilassarci ed ascoltare le canzoni che seguono: Man Of Good Fortune, dagli echi dylaniani, una versione folk di Heroin, molto delicata e introspettiva. Too Late suona come un classico della tradizione americana dei primi del secolo, con la seconda voce di Cale ad arricchire in contro canto la composizione. I due sembrano divertirsi da matti, anche nell’allegra e scanzonata Buttercup Song. Forse per deformazione professionale sentiamo molto l’influenza di Dylan anche in Walk Alone, ma già con qualche intervento destabilizzante di John Cale che tende all’autoironia.

Buzz Buzz Buzz, un blues anomalo a due voci dall’alto tasso etilico: fate attenzione a questi ragazzi, verrebbe da dire. Anche Pale Blue Eyes risente delle influenze musicali della tradizione americana, è incredibile sentire queste canzoni nella loro versione originale, è come aprire il vaso di Pandora e venire trascinati dalle sfere celesti, scoprire paesaggi di campagna inconsueti, intravedere il sole del west all’orizzonte. Stockpile è un blues molto ritmico cantato a due voci e armonica, Lou Reed è autentico, non c’è posa da rocker, non c’è trucco, non c’è inganno, in queste canzoni troviamo il seme germinale di tutta la sua futura produzione artistica. Poi come un temporale improvviso arriva a destabilizzarci la traccia n. 10, il capolavoro del disco. Si tratta di Wrap Your Trouble In Dreams, dove possiamo già sentire in nuce tutto il sound dei Velvet, nero, oscuro, dark, intellettuale, anti-rock. Il tempo rallenta e si dilata e noi sprofondiamo nel nostro “io” interiore, veniamo risucchiati dal nostro inconscio. John Cale assume le sembianze di un bonzo tibetano e recita questo oscuro testo quasi fosse proiettato in un’atmosfera liturgica. È Cale che canta vero? Qualcuno se n’è accorto? Nessuno dice niente? Un leggero tocco di chitarra medievale si ripete per tutto il brano, mentre il tempo è tenuto in modalità metronomica dal battito di due legni o chissà che altro. Otto minuti di trance ipnotica, una veglia funebre che celebra la prematura morte del rock’n’roll targato anni ’50 e in contemporanea la sua rinascita in abito scuro e occhiali neri in stile Velvet Underground. Ecco cos’è Wrap Your Trouble In Dreams, il capolavoro dei messaggeri della morte, Cage e Reed. Si vede già in filigrana l’essenza di quello che verrà di lì a poco, i Velvet Underground sono dentro di loro, sono già nati e sono tutti in questa canzone, che poi nel 1967, farà parte, rivista e riarrangiata, del disco Chelsea Girl di Nico.

Possiamo infine riprenderci e sorridere all’ascolto degli effetti speciali artigianali che questi due giovani hanno saputo ricreare, come il rumore dei passi dell’uomo che “Lou sta aspettando”, che si fanno sempre più nitidi fino a diventare la base ritmica dell’ultima canzone I’m Waiting For The Man nella alternate version che chiude il disco nell’edizione standard. Nelle edizioni de luxe e CD sono inserite come bonus track dei demo inediti registrati da Reed durante sessioni domestiche tra il 1963 e il 1964 dove compare una cover di Bob Dylan oltre ad una serenata doo-wop registrata a soli 16 anni. Ecco l’elenco: Gee Whiz (1958 Rehearsal), Baby, Let Me Follow You Down (1963/64 Home Recording), Michael, Row The Boat Ashore (1963/64 Home Recording), Don’t Think Twice, It’s All Right (Partial- 1963/64 Home Recording), W & X, Y, Z Blues (1963/64 Home Recording), Lou’s 12-Bar Instrumental (1963/64 Home Recording).

Andrea Masiero

 

Foto 3 e 4: Lou Reed e John Cale con i Primitives.

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