RYAN ADAMS
“Star Sign”
(PAX-AM, 2024)

All’alba di questo 2024 Ryan Adams ha pubblicato ben 4 dischi in un sol colpo più il live Prisoners. Dei quattro (1985, Heatwave, Sword & Stone e Star Sign), il migliore risulta essere Star Sign che con le sue ballate richiama al miglior Adams, quello del periodo Cardinals. Ryan Adams non è nuovo a questa bulimia di pubblicazioni, soprattutto negli ultimi anni dopo le accuse di molestia sessuale che lo tagliò fuori dallo star system discografico; negli ultimi tre anni ha pubblicato 12 album, quasi tutti senza una distribuzione classica ma reperibili direttamente dal suo sito internet ufficiale nei vari formati disponibili.

La qualità di questi dischi, a causa del poco discernimento, è variabile, non sempre all’altezza e anche le pubblicazioni del 2024 soffrono questo aspetto; due sono gli album che emergono, uno è Heatwave che recupera l’anima più rock dell’artista di Jacksonville e questo Star Sign ricco della miglior vena da songwriter di Ryan Adams. Nell’ultimo periodo Ryan Adams ha anche ricomposto una nuova formazione dei Cardinals (senza, purtroppo, Neal Casal che della prima incarnazione era l’anima) almeno per le esibizioni live; non potendo reperire i crediti di Star Sign, attualmente disponibile solo in forma digitale, non sappiamo se su questo album il gruppo accompagni Adams.

Star Sign tira fuori il lato più intimo del cantautore, ne condivide le ferite e le fragilità a cominciare dall’iniziale Sel-Defense, uno dei brani più belli dell’album, dal senso di smarrimento della delicata So Lost e a chiudere il primo momento riflessivo troviamo Darkness, un brano che esplora il lato oscuro dell’anima partendo con una melodia soffusa fino ad esplodere sul finale; a spezzare il ritmo intimo di questo inizio ci pensa la fisarmonica della romantica Shinin’ Through The Dark che nel suono ci riporta ai tempi dei Whiskeytown (è un brano ripescato dalla colonna sonora del film “This Is 40” di Judd Apatow del 2012).

In Be Wrong, con un bel lavoro di chitarra elettrica, si ritrova il Ryan Adams di Cold Roses (2005) che qui affronta da un punto di vista soggettivo il tema della depressione; Tomorrow Never Comes, col suo sguardo pessimista e tagliente verso il mondo esterno, ricorda nell’incedere lo Springsteen più folk; con Speeding Car, piacevole ma forse il brano più debole all’interno dell’album, si intravede la speranza che è come un’auto in corsa. I tre brani che concludono l’album sono una suite ideale sulla tematica della perdita cominciando dalla title track Star Sign, accompagnata da una straziante armonica in apertura e proseguendo nel capolavoro indiscusso del disco, I Lost My Place, con un magnifico tappeto di pianoforte capace di toccare il cuore concludendo con il ticchettio d’orologio che fa sfondo alla melodia di Stay Alive. Per chi ha amato la musica di Ryan Adams in passato e se ne è allontanato a causa della sua ipertrofica produttività Star Sign è il disco giusto per tornare a frequentare i suoi territori.

Rocco Sfragara

 

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