MUN
"Land"
(Autoprodotto, 2023)

I Mun sono una band barese nata nel 2015 e composta da Franz Valente (Voce e Weissenborn), Alessandro Caradonna (Chitarra), Roberto Zito (Basso), Fabio De Felice (Batteria). Il loro sound affonda le radici nel rock americano anno ’90, ma con uno sguardo al contemporaneo. Sono alla prima uscita discografica intitolata Land disponibile su tutte le piattaforme di streaming. Scambiamo quattro chiacchiere con Francesco Valente e analizziamo con lui le tracce dell’album partendo da alcune considerazioni generali.

INTERVISTA

Ciò che traspare dall’ascolto del lavoro nel suo insieme è l’omogeneità dei suoni e in parte anche del suo aspetto compositivo. L’arrangiamento dei brani sembra essere frutto di un lavoro meditato. Parlaci un po’ della genesi del disco.

Ciao Nino, volevo innanzitutto ringraziare te e Frastuoni per l’opportunità che ci state dando. La gestazione è stata lunga, il disco è formato principalmente da canzoni composte quando ci siamo formati nel 2015. 4 su 7 provengono dalle demo che avevo registrato in solitaria intorno al 2014. Mandai alcune demo a Fabio e Roberto, con cui avevo una band e … boom abbiamo ripreso a suonare insieme. Da queste prime session sono nate Vultures e Bad Trip, a quel punto alla seconda chitarra c’era Francesco Nocito. Subito dopo l’ingresso di Alessandro Caradonna nella band è nata I Love Anything. Quindi i brani che compongono Land sono abbastanza datati, ma li abbiamo scelti perché fotografano un periodo compositivo ben preciso e perché hanno un racconto sonoro comune e una protagonista, la Weissenborn. Molti brani dello stesso periodo sono rimasti fuori, così come molti dei nuovi, optando per questi brani che hanno un racconto comune.

I brani colpiscono anche per compattezza e precisione di esecuzione, il sound dell’album è molto loud e granitico. Dicci qualcosa delle sonorità in fase di produzione e delle scelte di mixaggio.

Beh devo confessarti che il mio piccolo sogno nel cassetto è un giorno diventare un produttore, mi diverto tantissimo a giocare con la musica. Quindi avevo già in testa che suono dovevano avere le canzoni, come gli strumenti dovevano essere posizionati e gli effetti da utilizzare. La parola d’ordine era: semplicità. Già in fase di composizione abbiamo cesellato fino allo sfinimento gli arrangiamenti, lavorando per la canzone affinché tutti gli strumenti fossero al servizio della stessa, senza inutili tecnicismi. Ognuno di noi ha contribuito al brano e alla sua riuscita. Da parte mia ho lavorato tantissimo, fino allo sfinimento sulle melodie, sono beatlesiano, un cuore pop, nel senso nobile e penso che una melodia che ti rimanga in testa, una voce che lotta con la potenza degli strumenti, sia un atto sublime. Quindi abbiamo mantenuto una semplicità di fondo, affinché potessimo lavorare in fase di mix con più libertà creativa. In questa fase Biagio Fumai, che ha registrato e mixato l’album, ci ha davvero aiutato a far uscire al meglio ìl potenziale delle canzoni, con competenza e passione. Altra linea che abbiamo seguito in fase di produzione e di mix, è quella narrativa. Abbiamo seguito le sensazioni e le descrizioni dei testi, cercando di lavorare anche su un piano visivo, quasi cinematografico. È questo l’approccio che abbiamo usato in tutto l’album. Forse è per questo che suona così compatto, fondamentalmente lo abbiamo immaginato come un film.

Togliamo subito le castagne dal fuoco con la domanda sulle influenze musicali. Il Seattle sound è fra i vostri ascolti? Quali altre band sono nel background dei vostri gusti personali di musicisti? A tal proposito dimmi se hanno in qualche modo influenzato il tuo songwriting o la tessitura del lavoro in fase di registrazione.

Ovviamente sì, il Seattle sound è nel nostro DNA, non si può estirpare. Poi ovviamente abbiamo altri ascolti, io per esempio sono un divoratore di musica, ascolto dal barocco agli Shellac, adoro la soul music, ed anche gli altri sono musicalmente onnivori. In questo album i grandi ispiratori sono principalmente due , forse tre. I Soundgarden e Mark Lanegan. A livello sonoro il faro è stato Superunknown, l’album perfetto forse l’unico del periodo ad invecchiare bene a non solo a livello compositivo ma soprattutto di sound, spacca ancora. Altri album dello stesso periodo sono invecchiati male a livello sonoro secondo me. Lanegan ha invece ispirato la scrittura, mi ha aiutato a trovare la mia voce. Home è forse la canzone dove la sua influenza è più evidente. Altra ispirazione è sicuramente Ben Harper ed in particolare l’album con i Relentless7, più che altro per l’utilizzo della lap steel in un contesto loud e meno acustico. Poi nell’album ognuno di noi ha portato il suo background di ascolti e influenze, che ripeto sono molto varie.

Il disco si apre con due brani tirati per poi placarsi, nel sound desertico e caldo di Vultures, a mio parere la traccia più a fuoco dell’album. Ce ne parli?

Vultures è l’unico brano nato completamente in jam e non scritto da me ed è rimasto fondamentalmente così come lo abbiamo scritto in principio. Ci sono brani che nascono per magia, Vultures è uno di questi, tutto è nel posto giusto, non è stata cambiata una nota. È stato l’ultimo brano ad essere mixato, perché volevamo prestarci un’attenzione particolare, sapevamo di avere un buon brano e volevamo farlo rendere al meglio. Questo è un brano di molte sostanze, di piano e di forte, silenzi ed esplosioni, un testo apocalittico e volevamo che la musica rispecchiasse le atmosfere del testo, l’approccio cinematografico di cui ti parlavo prima, su Vultures lo abbiamo estremizzato, ogni nota racconta qualcosa, una sensazione, un rumore. E poi l’arpeggio sulla strofa! Abbiamo costretto Alessandro a farlo esattamente uguale a come era stato suonato da Nocito in jam, una tortura. Ma credimi, cambiando anche una sola nota, sarebbe crollato l’intero brano. Che dirti, siamo molto soddisfatti e speriamo piaccia anche agli ascoltatori, così come il resto dell’album.

Parliamo dei testi, qual è il tuo approccio alla scrittura, cosa ispira maggiormente la stesura della canzone?

Solitamente nasce sempre prima la musica, cesello la melodia fino allo sfinimento. Essendo profondamente springsteeniano, cerco sempre una linea narrativa nei testi, mi piace l’idea di raccontare una storia e poi fare in modo che la musica la supporti, la evochi. I testi delle canzoni di Land seguono questa linea. Molto spesso mi ispiro a dei libri che ho letto e che mi hanno colpito particolarmente, al cinema, alle serie TV o a dei fatti di cronaca. Per esempio Vultures prende ispirazione da “The Walking Dead”, Home parla di un femminicidio ed è liberamente tratta dal libro “Sonata A Kreutzer” di Tolstoj, Night Vision dalla guerra in Afghanistan e in generale dalle guerre dimenticate, I Can’t Breathe dalla vicenda di George Floyd. Come avrai capito, il filo conduttore dell’album non è il bright side dei Monty Python, quanto il lato selvaggio e oscuro dell’umanità, che trovo molto più stimolante e interessante.

In conclusione parlaci dei programmi futuri della band, eventuali live di promozione del disco.

Sicuramente vogliamo portare Land dal vivo, implementando il set con altri brani rimasti fuori dall’album. Abbiamo definito la scaletta e siamo pronti finalmente a suonare live, a collaborare anche con altre band del territorio che sta rimaturando una ottima scena, ci sono tantissime band incredibili là fuori, dai Cafè Bizzare, agli Anuseye, i Crampo Eighteen, i Los Drigos e tantissimi altre band, affini alla nostro genere musicale e non solo. Parlavamo di Seattle, sta roba della scena mi è rimasta appiccicata addosso, che ci vuoi fare. Grazie ancora per l’opportunità. E poi cominceremo a pensare al prossimo album.

Nino Colaianni

 

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